Il TAR Marche, con sentenza 761 del 9/12/2019, ha annullato un bando che conteneva un compenso irrisorio per il professionista.
Con avviso pubblico approvato la Provincia di Macerata procedeva all’acquisizione di candidature ai fini della nomina dell’Organo di Controllo (Sindaco Unico) di una società partecipata, la Task s.r.l..
Nell’avviso pubblico si stabiliva che la selezione, tra tutte le candidature pervenute, sarebbe avvenuta mediante sorteggio e previa allegazione, da parte dei candidati, del proprio curriculum; il medesimo avviso ha previsto, tra le condizioni contrattuali, quella secondo cui “all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarà corrisposto un compenso annuo pari ad Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA”..
L’avviso pubblico in questione era stato inviato dalla Provincia di Macerata anche agli Ordini dei Commercialisti ricorrenti per la sua massima diffusione tra gli iscritti..
Proprio due Ordine dei Commercialisti, quello di Ancona e di Pesaro Urbino, hanno promosso ricorso innanzi al TAR Marche per l’annullamento del bando per i seguenti motivi di legittimità:
- il compenso predeterminato in maniera fissa e unilaterale dalla Provincia di Macerata nell’avviso pubblico in questione violerebbe il minimo tariffario, quest’ultimo da determinarsi tenendo conto sia della parte di compenso riferibile all’incarico di revisore dei conti (art. 22 del DM n. 140 del 20 luglio 2012), sia alla parte di compenso riferibile all’incarico di sindaco della società (art. 29 del DM n. 140 del 20 luglio 2012), ossia, nel caso specifico, in un ammontare complessivo di € 7.256,92 (cfr., relazione tecnica del 9 novembre 2019, allegato n. 5 al ricorso, deposito digitale n. 6);
- esso violerebbe, altresì, la disciplina sull’equo compenso dei professionisti autonomi di cui alla legge n. 172 del 2017, di conversione del decreto legge n. 148 del 2017, come modificata dalla legge di bilancio n. 2015 del 2017, la quale ha introdotto un apposito art. 13 bis alla legge n. 247 del 2012 (legge forense); detta disciplina è stata dettata dapprima per i soli avvocati e poi estesa, per effetto dell’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, anche agli altri professionisti e anche nei confronti della pubblica amministrazione, quest’ultima annoverata tra i contraenti cosiddetti “forti”;
- sotto altro profilo, l’eccessiva riduzione del compenso, proprio in quanto incidente sull’autonomia e sul decoro del professionista, sarebbe da considerare elemento idoneo a comprimere notevolmente la partecipazione alla procedura selettiva di cui si tratta, alterandone in radice lo svolgimento, in violazione delle regole della concorrenza e di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
Assumevano, inoltre, i ricorrenti che l’avviso pubblico e il successivo atto di nomina del Sindaco Unico sarebbero nulli, oltre che per violazione del principio dell’equo compenso, anche per vessatorietà della clausola (nullità di protezione), ove tali provvedimenti siano considerati quali atti amministrativi rientranti nel novero delle “convenzioni” unilaterali di cui alla citata normativa (art. 13 bis, comma 10, della legge n. 247 del 2012). In ogni caso, sarebbe nullo il contratto-convenzione eventualmente stipulato tra la società Task e il professionista.
La sentenza, decidendo il ricorso, ha affermato nel merito quanto segue:.
La legge 4 dicembre 2017, n. 172, nel convertire il decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19 quaterdecies, con cui si è provveduto ad introdurre l’art. 13 bis nella legge n. 247 del 2012. Detta ultima norma disciplina il compenso spettante agli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali in favore di “imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003 … con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese”.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 bis citato - reso applicabile a tutti i professionisti proprio dal menzionato art. 19 quaterdecies - il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Sempre l’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, al comma 3, ha riconosciuto l’applicabilità del principio anche alla pubblica amministrazione, stabilendo che essa, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisca il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della relativa legge di conversione.
Le citate disposizioni fanno emergere come nell’ordinamento - pur successivamente all’entrata in vigore del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. "decreto Bersani"), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui art. 2, comma 1, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali - viga comunque un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Non a caso, l’art. 35 della Costituzione tutela il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, mentre il successivo art. 36, nell’occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 agosto 2018, n. 1507).
L’ordinamento si preoccupa soprattutto di tutelare il diritto a una retribuzione adeguata dei professionisti lavoratori autonomi nei rapporti con i contraenti cosiddetti “forti” e nell’ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi - tra i quali è stata annoverata anche la pubblica amministrazione - prevedendo la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 dell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, le quali determinino, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e stabilendone la nullità, fermo restando il contratto per il resto (cfr., art. 13 bis, citato, commi da 4 a 8).
Quanto ai parametri di riferimento per la determinazione del compenso che possa definirsi “equo”, essi sono indicati nelle stesse disposizioni innanzi richiamate.
In particolare, l’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, al comma 10, prevede che “Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell'avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell'articolo 13, comma 6”.
L’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, inoltre, prevede, al comma 2, che “Le disposizioni di cui all'articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all'articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.
Pertanto, se per gli avvocati si deve far riferimento ai parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 247 del 2012, per gli altri professionisti (nella specie i commercialisti e i revisori contabili) il compenso viene determinato sulla base dei parametri indicati nel decreto ministeriale n. 140 del 20 luglio 2012, quest’ultimo emanato per effetto dell’adozione del decreto legge n. 1 del 2012, che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano.
Più in dettaglio, per l’attività di revisione contabile, l’art. 22 del DM n. 140 del 2012 stabilisce che “il valore della pratica … è determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività e il compenso liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 4 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili”, mentre, per l’attività di sindaco di società, il successivo art. 29 prevede che detto valore sia determinato “in funzione della sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 11 della tabella C - Dottori commercialisti ed esperti contabili”, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3 della medesima disposizione.
In merito all’operatività dei suddetti parametri, l’art. 1 del DM n. 140 del 2012, dopo avere individuato l’ambito di applicazione della disciplina in esso contenuta, stabilisce, al comma 7, che “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.
Anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire (sebbene con riferimento all’attività svolta dagli ausiliari del giudice e alla liquidazione, da parte di questi, del relativo compenso) che il sistema dei parametri di cui al DM n. 140 del 2012 non è vincolante per il giudice, ma assume solo un valore orientativo (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018, n. 2232) ed è imperniato su criteri di liquidazione del compenso suddivisi secondo un profilo soggettivo (tipo di professionisti), oggettivo (tipologia delle prestazioni professionali) e funzionale (parametri generali e specifici per la valutazione delle prestazioni); ciò è confermato, peraltro, dall’espressione “di regola” utilizzata nelle anzidette disposizioni del DM n. 140 del 2012 con riferimento ai criteri di liquidazione ivi indicati. In altri termini, “la liquidazione del compenso .... avviene mediante l'utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. n. 140 del 2012 e non più in base al sistema tariffario di cui Dl d.P.R. n. 352 del 1988 e al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell'adozione del d.l. n. 1 del 2012 che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano, fornendo la base normativa per l'emanazione del d.m. n. 140 del 2012. Tuttavia, il sistema dei parametri non è vincolante per il giudice ed assume solo un valore orientativo ... sicché quella lasciata al giudice è una valutazione sostanzialmente equitativa e rimessa al suo prudente apprezzamento, soprattutto in considerazione del fatto che i parametri indicati dalla fonte normativa impiegata (l'impegno del professionista e l'importanza della prestazione, di cui all'art. 38 del d.m. n. 140 del 2012 ), lungi dall'offrire riferimenti numerici certi, richiedono per loro natura un giudizio ampiamente discrezionale” (TAR Lazio Roma, sez. II, 4 gennaio 2019, n. 126, richiamata da TAR Valle d’Aosta, 27 giugno 2019, n. 34; nello stesso senso, TAR Lazio Roma, sez. II, 21 marzo 2019, n. 3769).
Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, da esso è possibile trarre i seguenti principi:
- le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale (qual è quello in questione), sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;
- al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;
- detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto “decreto Bersani”), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);
- tanto è confermato dalla stessa Corte di Cassazione con le pronunce richiamate dai ricorrenti (Cass. Civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018 e 31 agosto 2018, n. 21487); in particolare, nella prima delle citate pronunce si legge testualmente: “… il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l'incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall'Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 - evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l'intervento del giudice ivi preso in considerazione.